La terza bella storia COOPERATIVA LA PARANZA, un esempio di sostenibilità sociale

La terza bella storia

Cooperativa La Paranza, un esempio di sostenibilità sociale

Ecco il terzo racconto delle “belle storie” italiane sulla sostenibilità.

Questo mese vi parlo della Cooperativa sociale “La Paranza” di Napoli, esperienza nata nel 2006 nel rione Sanità dalla passione di alcuni ragazzi per la propria terra: un sogno diventato una certezza.

L’Ambiente

Il Rione Sanità è uno dei quartieri più antichi di Napoli, definito il centro della fede cristiana partenopea, con basiliche molto belle e i famosi Palazzi dello Spagnolo e San Felice.  Ma questo quartiere  vive in una strana situazione, è quasi una “una periferia nel centro di Napoli”, dove si trovano però  monumenti antichi e famosi come il Museo di Capodimonte e il Museo Archeologico. Si parla di  , quest’ultimo costruito in epoca napoleonica (1810),  trasforma il quartiere in un ghetto, chiuso in sé stesso, abbandonato da tutto e da tutti.  In 2 chilometri quadrati vivono oggi 32mila persone, con cifre sconfortanti relativamente all’abbandono scolastico (30%), alla disoccupazione giovanile (65%) e la quasi totale mancanza di servizi sociali.

Cosa vuol dire essere sostenibili per questa realtà?

I fondatori della cooperativa,  poco più che maggiorenni, si sono chiesti se il loro futuro dovesse necessariamente essere scritto lontano dalla loro terra e hanno deciso di impegnarsi per inventarsi un lavoro che consentisse loro di rimanere e valorizzare le incredibili bellezze che avevano intorno.

Così, nel 2006, con l’aiuto del Parroco Don Antonio Loffredo che aveva messo a loro disposizione alcune chiese in comodato d’uso gratuito, hanno iniziato questa avventura.

I primi 3 obiettivi sono ben chiari e definiti: crescita del capitale umano, conservazione e fruizione dei beni comuni, coinvolgimento e partecipazione sia della comunità del rione che dei visitatori.

La relazione uno a uno è il metodo che i ragazzi da subito hanno usato con gli ospiti ed è anche il loro maggiore fattore di successo.

Dal 2006 al 2008 decidono di investire il loro tempo per imparare il “mestiere” della valorizzazione, gestendo all’inizio solo le catacombe di San Gaudioso ed aprendo il primo Bed and Breakfast, che oggi dà lavoro a tre persone. Il 2008 è l’anno della svolta,  la cooperativa vince il primo bando della Fondazione con il Sud e può fare  start up d’impresa, prendendo in gestione anche le catacombe di San Gennaro.

Qualche numero fa capire lo sviluppo esponenziale di questa realtà: nel 2006 c’erano poco più di 5000 visitatori, con 5 persone occupate e 1000 metri quadrati di patrimonio recuperato. A fine 2019 i si parla di quasi 160.000 visitatori, 40 occupati e più di 13.000 metri quadrati di patrimonio. Tutto questo ha notevoli ricadute positive sul territorio sia dal punto di vista economico, ma soprattutto culturale e segna un lento cambiamento di mentalità. Si parla di “generatività” dei beni comuni, non di redditività perché quest’iniziativa ha permesso la nascita di molte piccole organizzazioni che insieme concorrono a migliorare la qualità della vita nel rione.

Per concludere, citiamo una frase di Sant’Agostino che ha accompagnato questa esperienza nel suo percorso: 

“La speranza ha due bellissime figlie: sdegno e coraggio. Sdegno per le cose come sono. Il coraggio per cambiarle.”

Qui finisce il mio breve racconto, vi do appuntamento alla prossima “bella storia”. Vi aspetto.

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